Per molto tempo si è parlato dell’esistenza negli oceani di isole di plastica. Oggi sappiamo che non esistono isole vere e proprio ma zone dove la concentrazione è molto più alta. L’immagine dell’isola di rifiuti in mezzo all’oceano per fortuna, per ora, esiste solo nel nostro immaginario ma la situazione è altrettanto critica. E nel nostro Mediterraneo? Com’è la situazione? Nel novembre del 2016 venne pubblicato un articolo scientifico che segnò una fase importante nello studio dell’inquinamento da plastica del Mediterraneo, fornendo un identikit della composizione chimica e della distribuzione della plastica superficiale.
Il titolo dell’articolo è: “The Mediterranean Plastic Soup: Synthetic polymers in Mediterranean surface Waters” a firma di: Giuseppe Suaria, Carlo G. Avio, Annabella Mineo, Gwendolyn L. Lattin, Marcello G. Magaldi, Genuario Belmonte, Charles J. Moore, Francesco Regoli e Stefano Aliani.
Come conferma l’articolo, il Mar Mediterraneo è attualmente considerata una delle regioni al mondo più colpite per quanto riguarda le microplastiche ma la composizione polimerica di queste particelle era rimasta prima di allora in gran parte sconosciuta. L’indagine è stata svolta su larga scala su microplastiche (dimensione inferiore ai 5 mm) e mesoplastiche (tra i 5 e i 20 mm) che galleggiano sulle acque del Mediterraneo centro-occidentale.
il Mar Mediterraneo è attualmente considerata una delle regioni al mondo più colpite per quanto riguarda le microplastiche
Dallo studio emerge che sono 16 i diversi tipi di inquinanti plastici. I composti più abbondanti sono stati polimeri a bassa densità come polietilene e polipropilene, seguiti da poliammidi, vernici a base di plastica, cloruro di polivinile, polistirene e alcol polivinilico. I polimeri meno frequenti includevano il polietilene tereftalato, poliisoprene, poli (vinil stearato), etilene-vinil acetato, poliepossido, cera di paraffina e policaprolattone (un poliestere biodegradabile segnalato per la prima volta e che galleggia a largo nelle acque mediterranee).
Oltre il 92% di tutti gli oggetti in plastica trovati in mare sono generalmente più piccoli di 5 mm. Queste minuscole particelle definite microplastiche possono derivare dalla rottura di oggetti più grandi o possono entrare direttamente nell’ambiente marino come granuli, pellet o fibre. Oggi sappiamo che le microplastiche possono agire come vettori di sostanze chimiche additive, inquinanti organici e metallici accumulati dalle acque circostanti. Inoltre, essendo della stessa dimensione di molti organismi planctonici, l’ingestione di microplastica causa molti problemi alla fauna marina.
Il Mar Mediterraneo, insieme ai cinque principali vortici oceanici (le famigerate isole di plastica il cui termine oggi sappiamo non essere corretto), è stato proposto come la sesta grande zona di accumulo di rifiuti marini. Perché il Mediterraneo? Perché è un mare chiuso, le sue coste sono densamente popolate, la pesca è intensiva e sono particolarmente rilevanti le attività di navigazione, le attività turistiche e industriali. Questo vuol dire che l’impatto sulla fauna marina mediterranea è purtroppo un fenomeno evidente. Nel contenuto dello stomaco di predatori pelagici mediterranei sono state trovate plastiche così come anche in pesci di acque profonde e in specie commerciali.
il problema dell’inquinamento da plastica è una questione sociale e comportamentale, le cui cause devono essere ricercate soprattutto a monte nella catena dei consumi
Le analisi effettuate da Giuseppe Suaria e degli altri autori confermano che il Mar Mediterraneo è gravemente contaminato dall’inquinamento da plastica e ne descrivono per la prima volta la complessa miscela di polimeri sintetici che galleggia sulla sua superficie. La distribuzione della plastica e la composizione non è risultata omogenea poiché esistono differenze geografiche nelle varie zone del Mediterraneo.
Nel corso della ricerca sono stati raccolti 74 campioni raccolti durante due crociere consecutive nel Mar Mediterraneo a bordo della nave di ricerca italiana Urania tra il 9 maggio e il 24 giugno 2013. I campioni sono stati tutti raccolti utilizzando una rete Neuston. Particelle simili alla plastica sono state trovate in tutti i campioni e la maggior parte (93,2%) sono state classificate come frammenti di forma irregolare, mentre pellet, pellicole e schiume costituivano solo una piccola frazione del totale (rispettivamente 2,2%, 1,6% e 3,1%). E’ stata rivelata una marcata prevalenza di particelle più piccole. Il 26% di tutte le particelle contate erano inferiori a 300 μm e il 51% erano inferiori a 500 μm. Solo 197 pezzi (1,4% del totale) erano più grandi di 5 mm. Ecco il risultato dei vari tipi di plastiche presenti in questa grande zuppa che è il Mediterraneo.
Il polietilene (HD-PE e LD-PE) era la forma predominante (52%), seguita da polipropilene (PP) (16%) e vernici sintetiche (7,7%). Le poliammidi (PA) rappresentavano il 4,7% di tutte le particelle caratterizzate (escluso il nylon che rappresentava da solo per l’1,9%), mentre il polivinilcloruro (PVC), il polistirene (PS) e l’alcol polivinilico (PVA) rappresentavano rispettivamente il 2,6%, 2,8% e 1,2%. Altri polimeri meno frequenti (<1%) includevano: poli (etilene tereftalato) (PET), poliisoprene (gomma sintetica), poli (vinil stearato) (PVS), etilene-vinil acetato (EVA) e cellulosa acetato. Dieci frammenti di policaprolattone, un polimero biodegradabile, sono stati trovati in sette diversi campioni in tutta l’area di studio. Solo il 4,4% di tutte le particelle analizzate non era costituito da plastica ma piuttosto da cotone, chitina, cellulosa e altri materiali non sintetici.
In termini di peso il valore massimo di 10,43 kg / km2 è stato osservato nel Canale di Corsica, tra la Corsica e l’isola di Capraia, mentre le due concentrazioni più basse sono state trovate nell’Adriatico meridionale. Nel complesso, la plastica era significativamente meno abbondante nel Mare Adriatico rispetto a campioni mediterranei.
La proporzione di diversi polimeri trovati nel nostro studio corrisponde all’incirca alla produzione globale di materie plastiche, con poliolefine (PE e PP) che rappresentano il 62% della domanda globale di plastica e il 68% delle particelle campionate. Essendo ampiamente utilizzato nell’industria degli imballaggi usa e getta e con densità inferiori rispetto all’acqua di mare, non sorprende che questi polimeri rappresentino la maggior parte delle particelle di plastica galleggianti nelle acque superficiali in tutto il mondo.
Il policaprolattone (PCL), è un poliestere a base di petrolio comunemente utilizzato nella stampa 3D, e in applicazioni biomediche. È considerato biodegradabile in ambiente terrestre, con un tempo di degradazione di 6-12 giorni in condizioni di laboratorio, mentre sono comparsi alcuni segni di degradazione solo dopo 12 mesi in ambiente marino. La presenza di PCL nelle acque al largo del Mediterraneo fornisce un’ulteriore prova del fatto che alcune “plastiche biodegradabili” non si degradano facilmente in condizioni naturali, non rappresentando quindi una soluzione a priori per ridurre i rifiuti marini.
Dopo aver rimosso due valori anomali dal set di dati, la densità media della plastica scende a 463,5 g / km2, che è un valore incredibilmente simile a quelli presenti nelle zone di maggior accumulo degli oceani.
Dall’articolo emerge che le concentrazioni di microplastiche in vari punti del Mediterraneo sono tra le più alte del resto del mondo. Lo studio scientifico conclude dicendo: “il problema dell’inquinamento da plastica è una questione sociale e comportamentale, le cui cause devono essere ricercate soprattutto a monte nella catena dei consumi”.
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